martedì 5 luglio 2022

La fase dei per...ò!

Scommetto che già conoscete tutto sulla fase dei perché, quella in cui i bambini chiedono costantemente e insistentemente il perché di ogni cosa fino a quando voi non avrete più risposte da dare e cominciate ad inventare scuse tipo: "Amore, devo girare la salsa!" O "devo assolutamente andare in bagno!" O, semplicemente, dite:" tesoro, non mi sento molto bene" e fate finta di svenire. La conoscete questa fase, giusto? E certo! Ne parlano tutti! Ci sono libri interi sui perché dei bambini. Ci sono corsi di formazione che durano anni su come rispondere ai perché dei fastidiosissimi bambini super curiosi su tutto lo scibile umano che noi esseri umani non conosciamo. 



Ebbene, una cosa però ve l'hanno sempre nascosta. E io prima o poi scoprirò chi è stato il primo a costringere gli altri a non svelarla. Ma, sappiate mamme col neo del futuro, che in un tempo non molto lontano dal parto, diciamo intorno ai tre anni, quando la loro parlantina è diventata ormai quella dei dialoghi più brillanti tra Lorelai e Rory Gilmore, in quel preciso istante comincia l'inevitabile quanto sconosciuta fase dei "però".

Più subdoli dei perché, i però si insinuano in quello che vi sembra un discorso coerente, una comunicazione fin troppo evoluta per una bimba di quell'età da farvi quasi compiacere del geniaccio che avete creato. Ma Il geniaccio si trasforma presto in mostro quando comincerà a ragionare a suon di "però"...

"Amore, è notte fuori, si fa la ninna" 

"Però io non ho sonno"

"Perché tu sei cyborg amore, ma io e papà no e se continui così ci atterri!"

"Però non c'è la luna"

"Perché è nascosta dalle nuvole"

"Però  non ci sono le stelle"

"E graziarcazzo! (lo so non si dice davanti a una bimba di tre anni ma sono pur sempre una mamma con dei nei enormi!) Abitiamo in un quartiere popolare della periferia est della terza città di Italia dove il cielo è stato mangiato dalle luci, lo smog, le raffinerie, la centrale elettrica e i fuochi d'artificio di tutte le dannate sere! Come le vuoi vedere le stelle?"

"Però mi leggi una storia?"

"Certo! Gruffalò o Mamma Luna?"

"Però ci sono anche le principesse (che sarebbe "Storie della Buonanotte per bambine ribelli", un tomo di duemila pagine con dentro otto miliardi di storie)."

"Ok, ma solo una! Chi vuoi, Frida?"

"Però due".

"Ok, allora facciamo le sorelle Williams. Tiè!"

"Però è una sola storia".

"Doh! Mi ha sgamato!"

E così all'infinito.

Ora, non vi sembra molto più snervante dei perché? La fase dei però, credetemi, è peggio. 

E ora potete solo ringraziarmi perché almeno a voi non vi coglierà impreparati. 

E sarà solo grazie a me.

giovedì 23 giugno 2022

Io...ricomincio da tre!

Ancora pochi giorni e la creatura compirà tre anni, o come dice lei "te anni". Si, stiamo ancora cercando la "r" su una lingua che non si arrotola facilmente.
Non si arrotola, ma viene usata per dire tutte le altre lettere. Perché la creatura parla, parla, parla, senza sosta e a volte anche senza un senso. 

Non scrivo da tanto, nel frattempo Irene ha vinto un Nobel e ha suonato la batteria con i Metallica al Firenze Rocks, ha affrontato due interventi a pieni voti, ha letto almeno venti libri, ha curato persone da mali al pancino e bue sulla gamba, ha volato sui cieli piemontesi e assistito a più presentazioni di libri di Nicola Lagioia e becca virus al nido come se non ci fosse un domani. A voi capire cosa è vero e cosa no. Ma soprattutto la creatura ci tiene in pugno coi suoi occhioni grandi e le sue facce buffe e super espressive, manco fosse la figlia di Jim Carrey. 

E così, siamo arrivati a tre. Abbiamo superato i "terrible two" in cui i bambini hanno il fiuto per tutti i pericoli possibili e immaginabili, pensando di essere di gomma (lancio acrobatico dallo scivolo, catapulta dall'altalena, campionato di tre scalini alla volta con una gamba di dieci centimetri, salto in alto sul materasso, torneo di morso sulla mozzarella di cui ho avuto il vero terrore per cui ho imparato subito la manovra anti soffocamento). 




Ora qualcuno se ne uscirà che esistono i "terrible three" e anche i "terrible four", perché c'è sempre chi fa del terrorismo psicologico con le neo mamme, ma le mamme col neo sanno che nulla sarà peggio del passaggio dal nido alla scuola dell'infanzia. Laddove "non la prendono col pannolino, quest'estate togliglielo. Ora o mai più!" Già l'ansia del pannolino ce l'abbiamo più noi che loro; già Irene ha l'incubo che Topotto venga a vedere nel suo pannolino che tipo di cacca fa lei, se è secca e lunga come quella di Gianni la giraffa o palline piccole e scure come Betta la capretta; già di vasini ne abbiamo due, uno al piano di sopra e uno al piano di sotto sapendo benissimo che tanto la farà sulle scale a metà; già l'estate sembra infinita e invece ci ridurremo al 30 agosto con l'ansia a mille e l'inizio della scuola alle porte. Per non parlare di quelle che ti guardano come se fossi un'aliena che a tre anni ce l'ha ancora visto che il suo l'ha tolto a tre mesi. 
Insomma, il pannolino l'hanno tolto tutti, premi Nobel, pigroni e tontoloni, ci riuscirà anche la creatura e secondo me lo sa fare già solo che si diverte a vederci bestemmiare quando non ci sono fasciatoi ovunque andiamo (a proposito, cominciamo a pensarci seriamente a questo problema???), insomma dato che lo sappiamo che questo è un momento importante, possiamo fare che quando vi diremo che a settembre andrà all'asilo, voi mi dite che sarà meraviglioso e basta?!

Grazie.  

mercoledì 6 maggio 2020

Microracconto di una quarantena col neo

Restate a casa. Lavorate in smart working. Si, certo, molto work e poco smart. Usate l'amuchina per disinfettarvi, la mascherina fatta in casa con la carta forno e i guanti usa e getta, non per strada possibilmente. Leggete, guardate una serie tv, videochiamatevi, skypatevi e partecipate alle feste di compleanno su zoom che sono una figata, se vi piace la realtà virtuale. Seguite tutte le indicazioni, soprattutto quelle del governatore della regione Campania, che si sta assicurando le prossime elezioni a suon di lanciafiamme e anatemi contro i portaseccia e i cinghialoni. Ah, anche contro la setta del godimento perpetuo. Inutile cercarla, non esiste. Altrimenti saremmo già tutti arruolati.  Stampatevi l'autocertificazione (quale: la uno, la due o la treeee?), non potete fare jogging, non potete fare la spesa in due per famiglia, state almeno a un metro di distanza, cantate fuori dai balconi canzoni di merda che ci sentiamo tutti più vicini. Magari, qualche volte scegliete una canzone decente e m'affaccio pure io. Ah, no io non ho il balcone. Ma va bene anche la finestra. Si, ma poi entrano le zanzare che a quelle manco il coronavirus le ammazza. E poi il sabato la pizza. M'arraccumanno. Alle 18 escono i dati, alle 23:20 c'è la diretta del Premier, chiamatemi solo quando Conte dirà che la luce ha vinto sulle tenebre, alle 16 il webinar, alle 2 la creatura ancora non dorme, vabbè tanto domani non ho la sveglia che suona, eh ma prima o poi suonerà e come faremo? Non ci fasciamo la testa, già è difficile così!

Il tema appena svolto era: riassumete in un flusso di pensieri gli ultimi due mesi trascorsi in casa.




Io,  il mio lockdown lo vivo con il mio compagno e la creatura che ha appena compiuto dieci mesi. Una creatura che ha deciso in questi ultimi due mesi di esplorare ogni angolo della casa. Retro di divani che nascondono di tutto, infatti grazie a lei abbiamo ritrovato "cose che voi umani", da mensole di librerie che sono diventate presto pareti da scalare che manco Messner, granelli di polvere impercettibili che su un pavimento bianco per lei diventano appetitosi bocconcini da assaporare. Negli ultimi due mesi la creatura ha deciso di mettersi in piedi.  Non cammina, chiariamo, non voglio essere una di quelle mamme che dicono che i loro figli hanno fatto tutto prima degli altri! Certo, la creatura ha imparato a salutare, ad applaudire, le pernacchie li fa da quando ha 4 mesi e dice "Bau" se sente la parola cane, ma dubito che per ora le daranno il Nobel. Per ora, ho detto.  In tutti i casi, cerca di mangiare di tutto, piange quando ha sonno, ma se la metti nella culla piange perché vuole alzarsi, lascia sempre l'ultimo cucchiaino di pastina e appena ti avvicini al fasciatoio diventa Raffaella Carrà in "Com'è bello far l'amore da Trieste in giù" . Che poi quando la imitiamo lei ride un sacco.  Insomma, è una bimba normale. Siamo noi a non essere più normali. Perché? Provate voi a lavorare in videochiamate continue inseguendo  non una libellula in un prato, magari, ma un diavoletto della Tasmania che aggrappandosi a cose improbabili e altamente instabili, come plaid che penzolano dal divano  o strofinacci appesi ad una sedia, si muove con disinvoltura tra mille e mille pericoli mortali per lei e, a volte, anche per noi con tutti i microinfarti che ci stiamo prendendo.

Lei resta impassibile. Ci guarda felice, sorride. A noi passa tutto quando lei sorride. Ma non abbiamo il tempo di godercela perché lei è già in direzione scopa e paletta mentre aspira tutto ciò che si ritrova lungo il tragitto.

Insomma, sia chiaro, nulla che per fortuna un buon guinzaglio non possa fermare!

p.s. si avvisano i lettori che durante la quarantena nessuna bambina col neo è stata maltrattata. Per ora.


mercoledì 26 febbraio 2020

Il miracolo dell'oro giallo

Due mesi. Non due ore,  due giorni o due settimane. Ma, due mesi.
De mesi e due impegnative del pediatra per riuscire a prendere le urine della creatura. 
La prima volta l'ho visto fare in ospedale. "Signora, fatela mangiare che così subito dopo le mettiamo la bustina e raccogliamo la pipì". E così avvenne esattamente. Io le diedi il latte, poi bustina e pipì raccolta. Facile, no?!

Si, certo. 

Ora, non so quante e quanti di voi abbiano avuto quest'esperienza, e non so voi come l'abbiate vissuta, ma per noi è stata prima un'attesa, poi uno stress, poi è arrivata la disperazione, poi la speranza e, infine, il giubilo tendente al miracolo, manco fosse la liquefazione del sangue di San Gennaro. 

Ho cominciato con spavalderia. Facile: lei mangia, io metto bustina, lei fa pipì e io la porto ad analizzare. 
Chiaramente, molto presto la catena si è leggermente modificata. E allora: lei mangia, io metto bustina, attendo venti minuti in cui lei mi guarda sorniona, passano altri venti minuti in cui lei sbadiglia, si gira sul fianco per dormire, comincia ad agitarsi e mi guarda quasi incazzata, non può tenere la bustina in eterno e quindi gliela tolgo. A quel punto la fa. La cazzimma l'ha presa dal papà. 
E allora via col secondo tentativo il giorno dopo. Lei mangia, io metto bustina, attendo venti minuti guardando in rete cosa bisogna fare e allora via col massaggino dietro la schiena, il solletico sotto i piedi, l'acqua sul pancino, le faccio bere un po' d'acqua, faccio "pssspssspss" e apro la fontana con il risultato che la pipì la faccio io, ovviamente. Lei ride. Mi guarda e ride e poi si addormenta. 



Al quarto tentativo passo dallo stress alla disperazione, mentre al quinto diventa quasi una barzelletta. Al sesto tentativo la barzelletta divento io perché in preda ad una crisi mistica sogno di vedere abbastanza pipì nella bustina  e corro in laboratorio. Erano due gocce, ma veramente due gocce. Non sto scherzando. Il tizio alla reception mi ha guardato e ha detto: "E che è? L'acqua 'e Lourdes?". In quel momento sono ritornata in me, ho guardato la bustina e sono scoppiata a ridere. Ma una risata isterica. Fosse stato carnevale gli avrei detto che era uno scherzo, ma eravamo troppo lontani per essere credibile. E allora sono tornata disperata davanti a lui implorandolo di darmi qualche escamotage, qualche dritta, qualche vecchio rimedio della nonna. Niente. Unico consiglio: "Dovete avere pazienza e aspettare".

Ebbene, io ho aspettato. Ho aspettato e alla fine all'ottavo tentativo e alla seconda impegnativa la vedo. E' stata un dono. Il primo vero regalo di mia figlia, consapevole, voluto, a quel punto inaspettato, senza solletico sotto i piedi, senza massaggino lungo la schiena, gratuito e spontaneo. Ed è stato meraviglioso. 

Entro baldanzosa in laboratorio, "We are the Champions" dei Queen suona in sottofondo, la sento limpidamente,  metto l'impegnativa e il pacchetto con l'oro giallo sul bancone. Fiera. Sorridente. Manco fosse amuchina ai tempi del coronavirus. L'impiegato mi guarda, è chiaro che vuole sapere alla fine come abbia fatto, con quale metodo astruso, ma decido di tenere per me l'inesistente segreto, con un alone di mistero che da mamma col neo mi fa sentire per qualche secondo una mamma superfiga. Poi ricordo a me stessa che ero all'ottavo tentativo, due mesi e due impegnative. E torno umile. 
Ma il sorriso è rimasto.


martedì 31 dicembre 2019

"L'anno che sta arrivando tra un anno passerà. Io mi sto preparando. È questa la novità"

Caro amico ti scrivo...cantava così il grande Lucio Dalla, e canto così anche io in quest'ultimo giorno dell'anno che mi ha, ovviamente, cambiato la vita. L'avverbio non è usato a caso perché è ovvio che una mamma, seppur col neo, tiene tatuata sul cuore la data di nascita della propria figlia e questo 2019 mi risuonerà per sempre familiare, nel senso proprio letterale del termine.
Ma non prendiamoci in giro! Non è stato un anno facile. Altrimenti non avrei chiamato così questo blog. E posso dividerlo tranquillamente in due parti, i primi sei mesi e gli ultimi sei. Giugno fa da spartiacque. Un giugno in cui volevo scoppiare, aspettavo questa cosa strana, biblicamente dolorosa ma, a detta di tutti, meravigliosa che era il parto, le doglie, il respiro come nei film, il primo pianto e l'abbraccio con il mio compagno e lei sulla pancia. Invece è stato tutto completamente diverso. Più rocambolesco, più in solitudine, più avvilente, quello che è venuto dopo anche più traumatico. Un luglio da film di Castellitto tratto da un romanzo della Mazzantini.

Il 2019 è cominciato un con un viaggio in relax a Madrid con le persone giuste, nel periodo della gravidanza in cui ti senti un leone. Anche in quel caso ci sono stati i soliti detrattori di chi mi avrebbe voluta ferma sul divano a fare niente perché "Ma sei incinta!".
Appunto, incinta, non malata. A febbraio ho cominciato il mio nuovo lavoro, tornando in un quartiere che amo, che mi ha sempre accolta bene e che mi ha professionalmente cresciuta, il rione Sanità, ai Cristallini, laddove è nato mio padre, a due passi da dov'è nata mia madre, e dove avevo scelto mesi prima di farmi seguire                                                                                          durante la gravidanza.

Tutto tornava. E poiché ho lavorato fino all'ultimo giorno, avrei anche potuto partorirla praticamente lì. Sarebbe stato perfetto, se ci penso! Ad aprile ho fatto un viaggio in auto da sola per andare da mia sorella, con dieci soste pipì, ma portavo fiera la panza avanti nelle file. Una figata che auguro a tutte, e mi dispiace per i maschietti. A maggio, marciavo per il mio quartiere, San Giovanni a Teduccio, contro il degrado, l'abbandono, la camorra che mangiano i nostri territori. Alla fine del percorso ero esausta, ma sentivo di doverlo fare anche per lei. Questa è una frase che non avrei mai detto a maggio, chiariamoci! Non sono qui per scrivere bugie. Ma adesso, con Irene di là che ha ormai sei mesi, che dorme con lo stesso respiro pesante del padre,  con la sua testardaggine nel girarsi pancia sotto, nonostante il pupazzo che le abbiamo messo accanto per impedirglielo, con i  suoi sorrisi appena sveglia dopo "solo" 10 ore di sonno, beh! Almeno questo neo mi è scomparso, e ogni gesto che compio ha lei sullo sfondo come pensiero fisso. Dovrò essere per lei un buon esempio, non solo una madre che cerca di prendersi cura.
Il giorno in cui mi sono ricoverata per cominciare l'induzione al parto, ero sulla spiaggia di San Giovanni a vedere la statua uscire dalle acque, come speravo avrebbe fatto Irene da un momento all'altro. Ho creduto in un rito propiziatorio, invece sono solo morta di caldo.

Poi è arrivato il 27 giugno. un braccialetto rosa al polso e da lì non ci ho capito più granché.

Gli ultimi sei mesi di quest'anno strano, bello ma complicato, sono stati un giro sulle montagne russe.
Emotivamente, fisicamente, psicologicamente. Ospedali, cose nuove da imparare, ho fatto da infermiera, da piccola chimica, da accompagnatrice, da zavorra che piangeva solo, sono stata l'antipatica che non rispondeva ai messaggi e alle telefonate, nervosa, una corda di violino proprio, e lo sono tuttora, sono stata assente per molti, presente per pochi, polemica inutilmente, pessimista, poi cautamente ottimista, poi moderatamente felice, poi impaziente. E mi scuso con tutti. Ho imparato a cambiare pannolini con una mano e stomie con due dita, ho conosciuto medici che sono angeli in terra, ma anche dottoresse stronze che hanno dissacrato una delle mie prime volte con Irene al seno. Che uno s'immagina di farlo nella propria stanza, da sole, col sorriso e cantando una canzoncina, adagiata su un letto comodo o il divano di casa, e invece una mamma col neo lo fa in un reparto di patologia neonatale, con un filo attaccato alla propria bambina per sentirne i battiti e un occhio fisso sul monitor, su una sedia di ferro scomodissima, davanti a tante altre mamme, ognuna coi propri nei, e ai papà, uomini sconosciuti davanti ai quali denudarsi ma con discrezione, cercando di non togliersi il camice obbligatorio, e voi capite quanto è difficile?! E' molto difficile, è difficilissimo. Troppo per una imbranata come me.


E' stata  una seconda parte dell'anno in cui ho pianto molto e in molti modi diversi: di notte, negli orari di visita, in ospedale, a casa, in auto da sola, sotto la doccia, con le amiche di sempre, con mia sorella, sul petto di Roberto mentre lo faceva anche lui cercando di non farsene accorgere, di disperazione, di felicità per un suo sorriso perché lei, invece, sorride molto, pianti contro qualcosa, contro qualcuno, contro me stessa,  anche adesso mentre scrivo. Il primo bagnetto un disastro, il secondo meglio, adesso è una festa da Aquafan di Riccione.


Molte mamme avrebbero scritto dell'anno più bello della loro vita, io invece sono realista e so che qualcosa è stato terribile, per niente meraviglioso, a dirla tutta qualcosa è andata proprio di merda. E so anche che mi aspetta un altro anno bello, ma complicato. Ma lo finisco col sorriso, un po' più mamma di sei mesi fa, un po' più forte, e ancora con gli ormoni in subbuglio. E con più chili che in gravidanza, ma questa è un'altra storia.

Buon 2020 a tutti, ragazzi! E non pensate ai buoni propositi, ai buoni sentimenti e alla pace nel mondo! Pensate a vivere intensamente, tutto.
E restate umani, sempre.

mercoledì 13 novembre 2019

La trasformazione in una rampa di scale

La mia creatura è tranquillissima. Dorme tanto, mangia tutto, ride molto. Sono fortunata. Non ho le occhiaie, riesco a farmi una doccia, uno shampoo, perfino la pipì che per alcune sembra impresa ardua assai. Quando descrivo la mia creatura alle  mamme di creature più grandi mi arriva sempre, e dico sempre, il commento perfido: "Adesso si. Poi devi vedere dopo! Non dirlo ancora che poi te la tiri da sola!"

Vabbè, essere una mamma col neo significa pure dire la verità senza scaramanzia, essere felici per quello che si vive sul momento e non pensare agli esaurimenti futuri. Che per essere una mamma esaurita ci sta tempo.

Esiste però una categoria a parte di mamme, di quelle che i nei non sanno neanche cosa siano mai. E non parlo di mamme viste in tv, nè come protagoniste di serie tv (anzi, ultimamente ho visto Workin' Moms e ve la consiglio se avete partorite e state per tornare a lavoro!) e neanche di Belen Rodriguez, che sembra che al momento del parto si sia clonata: una a casa con il figlio e un'altra già dal giorno dopo a fare la soubrette in abiti attillati e scollati in tv. No, parlo di persone normalissime, che sono intorno a noi, sono nate sul pianeta terra come noi, non sono aliene anche se a guardarle bene potrebbero sembrarlo. Sono quelle che:

a) il mio parto è stato meraviglioso, veloce, pensavo avessi mangiato pesante e invece erano le contrazioni, senza dolore, solo due punti che se non me lo diceva il dottore manco me ne accorgevo, il papà ha fatto la foto/il video/la videochiamata con tutto il mondo/il filmino della comunione e pure dei diciotto anni, dieci minuti dopo mangiavo cozze, vongole e un chilo e mezzo di affettati, il bambino è venuto lui da me con la bocca aperta per venirsi a prendere il tantissimo latte che dieci minuti dopo già sgorgava con una montata lattea che montava senza pietà che rischiavo di affogarlo a quel creaturo;

b) il bambino è nato grande, rosa, con gli occhi aperti, diceva già mammà e papà e si cambiava il pannolino da solo;

c) hanno il cuscino per l'allattamento, il cuscino per dormire, il cuscino per la macchina, il cuscino per cambiare il pannolino, il cuscino per qualsiasi cosa perchè deve stare comoda la creatura e pure la mamma e poi, diciacocelo, è figo assai!

c) durante la gravidanza ho messo 30 chili, marò come mangiavo (non è vero, ma lo devono dire per farti sentire ancora più una merda per il post-partum) e poi con le nottate appresso al bambino (che ci tengono a dire che si sveglia solo per mangiare, senza manco piangere) e la gioia di stargli appresso li ho persi subito tutti e le vedi due settimane dopo già che indossano una 42 con una pancia perfettamente allineata con le ossa dei fianchi e con il seno che è tornato ad una seconda al massimo e non ti spieghi come faccia ad avere tutto quel latte;

d) sono tornate a lavoro due mesi dopo, con tutte le babysitter del mondo a disposizione, col capello sempre fatto dal parrucchiere, perfettamente truccate e vestite, ma con la foto della creatura sul cellulare per ricordarsi che hanno un figlio meraviglioso, altro che dispositivo anti abbandono.

La mamma col neo, invece, ha avuto un destino leggeremente diverso:

a)un travaglio che è durato una settimana, tre stimolazioni e alla fine il cesareo perchè chella capatosta della creatura non voleva incanalarsi e se la rideva mentre la mamma cercava di respirare come le avevano fatto vedere durante il corso pre parto, durante le interminabili contrazioni che sembravano pugnalate e senza neanche la soddisfazione di far vedere al papà la capozzella che usciva, per colpa del cesareo tutto il reparto sapeva che non aveva ancora incanalato e ciò significa digiuno, poi il thè, poi qualcosa di solido dopo una vita mentre sogni ancora gli affettati e le cozze che hai sognato per dieci mesi (perchè sono dieci, non fatevi ingannare!), e sempre per colpa del cesareo il latte viene più tardi perciò "hai voglia a spremmere, 'cca nun se magn' niente!";

b) la creatura è meravigliosa, questo è indubbio, ed è veramente rosa grazie al cesareo, nata tutta intera, ma proprio intera, nel senso che anche laddove avrebbe dovuto avere un buco non l'aveva (questa poi ve la spiego con calma), comunque sta di fatto che nel momento della giornata in cui la mamma perfetta canta la ninna nanna al bimbo che tiene in braccio, la mamma col neo si tira il latte con un mezzo elettrico gioendo per dieci gocce contate che finalmente escono, leggera illusione del momento, perchè la creatura non può ancora prenderla in braccio, rimandando il fatidico momento che tutti nel proprio immaginario di dieci, non nove, mesi vivono quando sono ancora in sala parto, la creatura non si cambia i pannolini da sola, ma non devi farlo così spesso neanche tu e non sono pieni di cacca puzzolente per la questione del buco di cui sopra...tiè! Un punto per me!

c) ti è capitato di darle il latte anche in piedi perchè hai divano e letto pieni di cose che devi togliere da mezzo, tra carrozzini/vestiti da stirare/quadrati da lavare/dondolino/libri/computer ecc ecc;



ma soprattutto

d) ancora ho difficoltà ad organizzarmi con il lavoro, qualcosa da casa, qualcosa fuori ma per poco tempo, qualcosa con lei appresso, qualcosa mentre la porto dal pediatra, qualcosa mentre va a fare la vaccinazione, qualcosa mentre le dò la crema di riso, qualcosa mentre la faccio addormentare, qualcosa mentre cucino. In tutti i casi, nonostante i pochissimi chili presi durante la gravidanza sembrano essere raddoppiati subito dopo e questo fatto proprio non te lo spieghi, provo ad essere ancora una donna, questa volta senza nei, o, meglio, senza peli sul neo e, chiaramente, puntualmente succede che prima di scendere di casa ho il capello stirato, lo smalto impeccabile, la maglia stirata, il sorriso più splendente che abbia mai avuto e poi,  dopo una rampa di scale con in una mano il chicchetto con la creatura che ora pesa quasi sette chili e nell'altra le ruote, la borsa e lo zaino sulle spalle e il telefono che ti sta squillando proprio in quel momento ed è sempre papà che comincia ad andare in ansia se non rispondi, arrivo all'auto che sono un cesso ambulante. Trucco sciolto, capelli del peggior Ozzy Osbourne, tutta stropicciata, pantalone sceso che pare abbia perso dieci chili in una volta salvo poi capire che in realtà si è solo arrotolato proprio perchè c'hai ancora la panza, lo smalto saltato al centro del dito, e la bocca a culo di gallina con la palpebra che ti sbatte per il nervosismo.
Però, una volta messa la creatura in auto, le allacci la cintura, la guardi e le regali di nuovo il sorriso più splendente che abbia mai avuto.