martedì 31 dicembre 2019

"L'anno che sta arrivando tra un anno passerà. Io mi sto preparando. È questa la novità"

Caro amico ti scrivo...cantava così il grande Lucio Dalla, e canto così anche io in quest'ultimo giorno dell'anno che mi ha, ovviamente, cambiato la vita. L'avverbio non è usato a caso perché è ovvio che una mamma, seppur col neo, tiene tatuata sul cuore la data di nascita della propria figlia e questo 2019 mi risuonerà per sempre familiare, nel senso proprio letterale del termine.
Ma non prendiamoci in giro! Non è stato un anno facile. Altrimenti non avrei chiamato così questo blog. E posso dividerlo tranquillamente in due parti, i primi sei mesi e gli ultimi sei. Giugno fa da spartiacque. Un giugno in cui volevo scoppiare, aspettavo questa cosa strana, biblicamente dolorosa ma, a detta di tutti, meravigliosa che era il parto, le doglie, il respiro come nei film, il primo pianto e l'abbraccio con il mio compagno e lei sulla pancia. Invece è stato tutto completamente diverso. Più rocambolesco, più in solitudine, più avvilente, quello che è venuto dopo anche più traumatico. Un luglio da film di Castellitto tratto da un romanzo della Mazzantini.

Il 2019 è cominciato un con un viaggio in relax a Madrid con le persone giuste, nel periodo della gravidanza in cui ti senti un leone. Anche in quel caso ci sono stati i soliti detrattori di chi mi avrebbe voluta ferma sul divano a fare niente perché "Ma sei incinta!".
Appunto, incinta, non malata. A febbraio ho cominciato il mio nuovo lavoro, tornando in un quartiere che amo, che mi ha sempre accolta bene e che mi ha professionalmente cresciuta, il rione Sanità, ai Cristallini, laddove è nato mio padre, a due passi da dov'è nata mia madre, e dove avevo scelto mesi prima di farmi seguire                                                                                          durante la gravidanza.

Tutto tornava. E poiché ho lavorato fino all'ultimo giorno, avrei anche potuto partorirla praticamente lì. Sarebbe stato perfetto, se ci penso! Ad aprile ho fatto un viaggio in auto da sola per andare da mia sorella, con dieci soste pipì, ma portavo fiera la panza avanti nelle file. Una figata che auguro a tutte, e mi dispiace per i maschietti. A maggio, marciavo per il mio quartiere, San Giovanni a Teduccio, contro il degrado, l'abbandono, la camorra che mangiano i nostri territori. Alla fine del percorso ero esausta, ma sentivo di doverlo fare anche per lei. Questa è una frase che non avrei mai detto a maggio, chiariamoci! Non sono qui per scrivere bugie. Ma adesso, con Irene di là che ha ormai sei mesi, che dorme con lo stesso respiro pesante del padre,  con la sua testardaggine nel girarsi pancia sotto, nonostante il pupazzo che le abbiamo messo accanto per impedirglielo, con i  suoi sorrisi appena sveglia dopo "solo" 10 ore di sonno, beh! Almeno questo neo mi è scomparso, e ogni gesto che compio ha lei sullo sfondo come pensiero fisso. Dovrò essere per lei un buon esempio, non solo una madre che cerca di prendersi cura.
Il giorno in cui mi sono ricoverata per cominciare l'induzione al parto, ero sulla spiaggia di San Giovanni a vedere la statua uscire dalle acque, come speravo avrebbe fatto Irene da un momento all'altro. Ho creduto in un rito propiziatorio, invece sono solo morta di caldo.

Poi è arrivato il 27 giugno. un braccialetto rosa al polso e da lì non ci ho capito più granché.

Gli ultimi sei mesi di quest'anno strano, bello ma complicato, sono stati un giro sulle montagne russe.
Emotivamente, fisicamente, psicologicamente. Ospedali, cose nuove da imparare, ho fatto da infermiera, da piccola chimica, da accompagnatrice, da zavorra che piangeva solo, sono stata l'antipatica che non rispondeva ai messaggi e alle telefonate, nervosa, una corda di violino proprio, e lo sono tuttora, sono stata assente per molti, presente per pochi, polemica inutilmente, pessimista, poi cautamente ottimista, poi moderatamente felice, poi impaziente. E mi scuso con tutti. Ho imparato a cambiare pannolini con una mano e stomie con due dita, ho conosciuto medici che sono angeli in terra, ma anche dottoresse stronze che hanno dissacrato una delle mie prime volte con Irene al seno. Che uno s'immagina di farlo nella propria stanza, da sole, col sorriso e cantando una canzoncina, adagiata su un letto comodo o il divano di casa, e invece una mamma col neo lo fa in un reparto di patologia neonatale, con un filo attaccato alla propria bambina per sentirne i battiti e un occhio fisso sul monitor, su una sedia di ferro scomodissima, davanti a tante altre mamme, ognuna coi propri nei, e ai papà, uomini sconosciuti davanti ai quali denudarsi ma con discrezione, cercando di non togliersi il camice obbligatorio, e voi capite quanto è difficile?! E' molto difficile, è difficilissimo. Troppo per una imbranata come me.


E' stata  una seconda parte dell'anno in cui ho pianto molto e in molti modi diversi: di notte, negli orari di visita, in ospedale, a casa, in auto da sola, sotto la doccia, con le amiche di sempre, con mia sorella, sul petto di Roberto mentre lo faceva anche lui cercando di non farsene accorgere, di disperazione, di felicità per un suo sorriso perché lei, invece, sorride molto, pianti contro qualcosa, contro qualcuno, contro me stessa,  anche adesso mentre scrivo. Il primo bagnetto un disastro, il secondo meglio, adesso è una festa da Aquafan di Riccione.


Molte mamme avrebbero scritto dell'anno più bello della loro vita, io invece sono realista e so che qualcosa è stato terribile, per niente meraviglioso, a dirla tutta qualcosa è andata proprio di merda. E so anche che mi aspetta un altro anno bello, ma complicato. Ma lo finisco col sorriso, un po' più mamma di sei mesi fa, un po' più forte, e ancora con gli ormoni in subbuglio. E con più chili che in gravidanza, ma questa è un'altra storia.

Buon 2020 a tutti, ragazzi! E non pensate ai buoni propositi, ai buoni sentimenti e alla pace nel mondo! Pensate a vivere intensamente, tutto.
E restate umani, sempre.